Monday, January 29, 2007

Ciccina.. scusami se ti scrivo anche se non c'è nessuna nuova puntata, ma sento il bisogno di un contatto con te.
Probabilmente è soprattutto pigrizia, la mia, perchè so che mi sei vicina, e mi viene spontaneo rivolgermi a te, invece di mettermi in gioco, di cercare un contatto con le persone che sento lontane. Tante persone vorrei sentirle più vicine, in questi giorni, e la colpa è mia almeno quanto loro, ma non ne ho voglia, di impegnarmi.
Mi dicono che sono chiusa. Non una grossa novità, vero? Eppure è un fulmine a ciel sereno, perchè stavolta me lo ripetono proprio quelli che ritenevo più vicini. Pensavo di aver capito che tutto il mio silenzio e la mia chiusura fossero destinati a scomparire, una volta conosciute meglio le persone. Pensavo di esaurirle di parole, di travolgerle con il mio nulla una volta che hanno conquistato la mia fiducia (ripensandoci, è stata alessandra a darmi questa convinzione.. quando mai l'ho ascoltata?). E ora, la mia adorata coinquilina che mi dice che le sto parlando poco del Lui del momento (cicci, qui ci vuole il tuo intervento: un soprannome ti prego!), ma io ci sto invece pensando tantissimo... Durante le vacanze, mio fratello che mi racconta una conversazione con i suoi amici, e saltano fuori parole su di me che mi fanno malissimo. Persino Lui, non certo la persona più vicina a me è vero, che mi dice: "tu non parli..", anche se stava cercando di ribadire la distanza, lo so.
Allora, non è cambiato nulla. Sono logorroica solo con te, a quanto pare (contenta? hihi).
In tutto ciò, una frase mi viene detta: "se hai bisogno d'aiuto, chiedilo. tutte queste persone.. se tu chiedessi loro aiuto, sarebbero pronte a dartelo". Già... allora, cicci, inizio con te perchè è più facile, e perchè già mi aiuti. Ho bisogno d'aiuto, nell'affrontare la lontananza da casa (che spavento, ieri. Non è successo nulla ma.. e se fosse successo? Ok basta con i se.. non sono woody allen dopotutto), nell'affrontare questo periodo di nervosismo da tesi, e il lavoro.. tutte le cose che mi fanno sentire un fallimento.
Cicci.. non è mia intenzione spaventarti, non sono sull'orlo di un suicidio o chissà che. E' solo che voglio avere il coraggio, almeno, di chiamare le cose con il loro nome e di ammettere se sono giù.
Un abbraccio.

Wednesday, January 24, 2007


Gli occhi mi fanno male.. lui non c'è, su messenger, non so dove sia ed è meglio così. La casella della posta attira la mia attenzione, ma sono sempre inutili incombenze lavorative, o persone che scrivono del nulla (sì, l'autocritica incombe: non sono certo peggio di me) ed è tanto caldo, qua dentro. Non vedo l'ora di uscire, di affrontare una bella sferzata di vento freddo, di svegliarmi.
Ho deciso di uscire, stasera. Un mercoledi al cinema me lo posso concedere no? Magari senza sensi di colpa.. mi sono stufata di me stessa, non mi sopporto più. Tanto vale fuggire, buttarsi nella mischia ed evitare di pensare.
Ci credi cicci? Devo decidere quando prendere le vacanze estive, anche se non ho ancora nessun tipo di vincolo con queste persone, e nessuno sa se sarò qui oppure no, ad agosto, me compresa.

Perdonami, è un post sul nulla, non parte da niente e non vuole arrivare a niente. "E allora?" ti starai chiedendo.. e me lo chiedo anch'io....

Tuesday, January 16, 2007

Ho capito! Erano giorni e giorni che ci pensavo, da tutti i punti di vista immaginabili. Poi sabato la serata non è stata un granché (lo sapevo anche prima di uscire.. avevo ragione, cicci: ci siamo visti solo per forma), tanto per dirtene una mi hanno depresso con i loro discorsi sul lavoro etc… mi hanno fatto venire in mente tutti i miei pensieri più foschi sulle mie capacità, su quello che voglio dalla vita e tanto tanto altro… proprio in mezzo a tutto ciò ho capito: devo smetterla di pensare!
Ero scesa a casa serena… ero stata brava, prendendo quello che mi passava davanti senza star troppo a fare analisi, a pensare al dopo. Poi casa e solitudine mi hanno riportato al mio peggior difetto.. capodanno, il ritorno a Milano hanno peggiorato tutto.
Ma ora ho capito qual è la chiave: non cercare significati, non chiedersi perché o chissà che… la chiave sta nel pensare, per una volta almeno, a noi stessi, e non a tutte queste cose che passano quasi inosservate dal mondo.. perché mai dovrei essere proprio io a osservarle?

E poi, sprazzi di verità riportano il sereno. Ma com’è che a tanta gente piace nascondere, dissimulare? Lo credono veramente, di poter evitare le sofferenze altrui non affrontando gli argomenti, facendo finta di nulla? Grazie a tutto ciò sembrava di essere in mezzo a questioni importanti, problemi seri.. finalmente, qualcuno decide di fare il pettegolo e mi vengono rivelati parte almeno dei fatti. E tutto, o quasi, acquista un senso. Che sollievo!

Saturday, January 13, 2007


Si tratta di una storia che si ripete... Fa parte di quelle coincidenze, un po' cattive, che la vita ripete, forse per mancanza di fantasia (?), alle quali ci si abitua e si riesce sempre meglio a riderci sopra...
Insomma, niente di speciale. Pensavo a Venditti che canta delle "cosce chiuse come le chiese quando ti vuoi confessare...") e devo dire che, allo stesso modo, è scientificamente provato che quando torni a casa la sera stanca e prendi d'istinto il telefono perché hai bisogno di sentire quella voce amica, di fare una chiaccherata che possa stemperare tutta la tensione della giornata... dall'altro lato della cornetta sentirai il vuoto... lasci che gli squilli si susseguano, l'uno all'altro, così, per sentire un suono familiare nella casa vuota. Poi abbassi la cornetta e dici: "Ma Dori, insomma, dove eri ieri sera alle sette?"

Un bacione
Polidora
che, come vedi, è ancora viva e colora i suoi post, nel cielo grigio di Firenze

Friday, January 05, 2007

La vata della posta era una signora di una famiglia distinta, ma povera. Per interessamento del comune le avevano trovato un lavoro alle Poste. Dopo un mese, non si faceva più chiamare vata, ma ada. In paese era l’unica ad avere una borsetta.. sempre la stessa, si ricorda mia madre, ma pur sempre borsetta (di vimini, mi pare di capire).

Una volta, racconta mia nonna, quando qualcuno compiva 40 anni il figlio doveva buttarlo a mare. Un tizio compie 40 anni e il figlio lo porta in riva al mare. Arrivati lì, il padre dice al figlio che toccherà anche a lui la stessa sorte; allora il figlio lo riporta a casa e lo nasconde “ncià nu cistizzu”. Quando il figlio va in piazza, racconta un sacco di storie vecchie, e tutti si stupiscono per la sua conoscenza del passato. Poi dei signori vanno a casa sua, e trovano il padre nel cistizzu, e capiscono.
(questo sembra uno dei miei aneddoti… finisce così, e la nonna per mettergli una conclusione ripete che quelli non sapendo si meravigliavano di quante cose sapesse il figlio)

Nessuno aveva delle scarpe, in paese, ma il mio bisnonno aveva prestato dei soldi, così ogni anno, con gli interessi riscossi su quella somma, mia nonna poteva avere il suo paio di scarpe.
(Questa me l’ha raccontata mia madre, suggerendomi di chiedere alla nonna di raccontarmi il fatto.. il cervello della nonna però oggi “era girato da un’altra parte”, e non riusciva a ricordare. Poi ha ricordato una storia di scarpe, e non ho avuto cuore di dirle che non era la stessa: un mio zio (caro, e purtroppo già rimpianto…) aggiustava scarpe. In giardino ne teneva un bel mucchio, portategli da varie persone. Mia madre se le metteva in casa, per giocare con scarpe troppo grandi per lei e con tanti tipi di tacchi, e mio zio si incavolava).

Il fratello di un amico di mio papà aveva in gestione la farmacia di castro, negli anni dal 1958 fino a non so più quando. Racconta che le donne andavano in farmacia scalze (mi dicono che a castro fossero molto poveri, all’epoca.. più che nel mio paese).
La moglie di questo signore racconta di essere stata la prima donna laureata nel suo paese. Ai suoi tempi, le signore avevano paura di mandare le figlie nel paese vicino con l’autobus.. e lei è andata a scuola, in quarta e quinta ginnasio, sulla jeep dei militari, perché l’autobus non c’era.

Un giorno mia nonna, mia madre, mia zia e forse altre signore vicine di casa erano in cucina (come ora, è in fondo alla casa, dopo tutte le altre stanze), attorno al camino. Bussano alla porta e loro urlano in modo poco garbato, pensando fosse qualche vicino :”trasi, traaasi” (pensando anche: “stu fessa, ce face, perché nu trase?”. Dopo un po’, loro vanno incontro al visitatore e lui si decide a entrare, si toglie il cappello dicendo “è permesso?”: è il nobile del paese (? Barone? No.. forse conte. Non ricordo più) che cerca mio nonno per qualche lavoro, o forse lo vuole pagare, e loro muoiono dalla vergogna.
(è il mio racconto preferito… mi sembra di vederle, loro 3 attorno al fuoco, un pomeriggio buio d’inverno, e questo signore distinto, alto, che piega la testa per entrare dalla piccola porta, e si trova davanti queste donne improvvisamente intimidite.)

Mia madre raccontava altri aneddoti sulla famiglia del nobile. Le donne della famiglia quando andavano a messa erano ammirate e guardate con soggezione dalle altre ragazze: erano vestite di bianco, e sembravano bellissime, delicate, eteree. E poi un giorno c’era un ricevimento, nel palazzo del nobile, forse un matrimonio. Allora le ragazze del paese spiavano i vestiti e le acconciature degli invitati da una porticina secondaria che ancora oggi dà sul giardino di quella casa.
(Queste e altre storie mi vengono raccontate.. mescolando verità e finzione, ricordi e immaginazione.)