"I know the pieces fit cuz I watched them tumble down
No fault, none to blame it doesn't mean I don't desire to
Point the finger, blame the other, watch the temple topple over.
In fondo, non c’è nulla che mi trattenga qui.
Eccetto che, lo ammetto, amo questa città, e non ho tanta voglia di andarmene, di abbandonare il mondo che mi sono costruita attorno in questi anni.
Mi piace un sacco vagabondare senza meta per questa città, il sabato mattina un po’ intontita perché ho dormito poco (ma bisogna sbrigarsi che il pane finisce, il pomeriggio ci sono tante altre cose da fare, e poi anche se sono poco produttiva di sabato mattina non importa, niente sensi di colpa), o dopo lezione, o quando uscivo da lavoro e preferivo camminare al prendere i mezzi strapieni… Ascolto la mia musica del momento, canticchio, penso ai fattacci miei e mi torna il buon umore, quasi sempre. Poi noto angoli di strada e palazzi che non avevo mai notato, e spesso con stupore scopro che quel tale posto che pensavo fosse tanto lontano è a 5 minuti di cammino, solo che per anni avevo fatto un giro incredibile per arrivarci, perché non è che sono proprio una cima, in quanto a senso dell’orientamento. E sui mezzi mi capitano sempre gli aneddoti più carini. Come oggi, che insieme a k. abbiamo incontrato due tizie simpaticissime, che parlavano fitto fitto in una lingua di un posto molto lontano, ma bastava guardarle un attimo, per vedere l’affetto e la complicità che solo una madre e una figlia hanno.
Prima o poi, però, vorrei andarmene… e forse dovrei farlo proprio ora, quando mi sembra di stare così bene qui, e quando mi lascerei indietro tanto, tantissimo. Meglio così, forse, che stare ad aspettare la curva discendente… o meglio che rimanere intrappolata, incapace di muoversi, magari solo per inerzia, e senza rendermene conto.
Probabilmente sono paranoie inutili, sarà già tutto deciso, o comunque la concorrenza tra di noi mi porterà verso un’unica direzione. Una sola parola, però, è bastata a sconvolgermi. Vedremo…
p.s.: che sudata!!
pp.s. : e quante risate, quanti salti, quanta stanchezza, quanta allegria...
Sogno un monolocale, piccolo, minuscolo, ma tutto tutto mio. Me lo immagino, ancora più piccolo di quello della Fra (solo che il divano-letto non lo voglio… brutti ricordi, e poi sarebbe sempre sfatto, conoscendomi), un po’ colorato, con l’angolo delle schifezze disordinate e qualche pouf per appoggiarci riviste e svuotare le tasche. Con un pezzo minuscolo di balcone, per tenerci il geranio se decide che vale la pena sopravvivere a questo inverno e alla mia mancanza di cure. Con un bagno pieno zeppo di flaconi, con il filtro per l’acqua, le foto alle pareti e il telefono fisso, perché comunicare è più importante di tutto. E poi, vicino alla metro (di tutti i colori, giacché sto sognando, tanto vale farlo in grande) e alle linee simpatiche di tram, quelle che passano spesso e non le ferma nessuno, neanche le macchine parcheggiate male, gli incidenti e le fughe di gas. E magari anche vicino a tanta gente simpatica, e al tipota, così sappiamo dove andare a bere una birra.